Giornalista e scrittore, Afo Sartori ha cantato le grandi gesta del jazz e del vino in terra toscana. Afo è stato tra i primi personaggi contattati nella prima fase di CantinaJazz, quella di ricerca, che precedette di un anno la messa in scena. L’incontro con Afo è stato un colpo di fulmine: sui rapporti tra jazz e vino Afo aveva già scritto “Suono DiVino” esprimendo al meglio del suo carattere irruento e generoso, due tra le sua massime passioni. Quel libro fu per noi di CantinaJazz il punto di partenza intorno al quale si è snodato tutto il resto del progetto, in gran parte compiuto insieme: da quel primo incontro, CantinaJazz trovò due baffi protettori all’ombra dei quali è cresciuta e diventata adulta.
Non so se Mario Tobino, viareggino saggio e fantasioso, nato “sulla spiaggia e al di là del molo” s’interessasse al jazz, ma so che s’interessava e sodo d’dee e di vino: stanti i numerosi brindisi accreditatigli. Tant’è che aveva un tavolo riservato da “vipore”, un ristorante che in lucchese significa “vipere”, in via Santo Spirito cui andava spesso, naturalmente solitario e unico. Per questo quando sentite dire che i lucchesi hanno le vipere in tasca, nel senso che non ci mettono mai le mani tanto sono spilorci e taccagni, non significa che frequentano “vipore”, ma che sono peggio dei genovesi e degli scozzesi. messi assieme. Si da il caso che via dei Bacchettoni unica nel suo genere sia una strada fra le più nobili e più frequentate di tutta Lucca. Proprio da “Vipore” lo intoppai una sera:”Buona sera maestro”,”Si maestro un par di ‘oglioni” disse senza formalità, Fu sorpreso di avere un giovane come il sottoscritto fra gli ammiratori, e me lo disse, e così fra il lusco e il brusco facemmo grandi onori al vino di “Vipore”; buono.
Non per niente vi sono delle sue superbe pagine che puzzano di vino, delle pagine dove c’è la sera, lenta, altre pagine sono notturne nelle quali i pipistrelli battono le ali’ E superbe pagine dove lo scrittore si mette sulle tracce di idee, il che significa, direbbero i pisani quando in tempo di carestia “se la fame tocca “pan di vecce sembra torta”. Ci sono carestie molto diverse fra loro, ma quella delle idee si porta dietro la carestia dei sogni: una grave forma d’indigenza. Se ci priviamo dei sogni finiamo per non accorgerci della loro assenza; ci abituiamo ad un mondo impoverito.Ma questo, e chiedo venia, è un altro discorso,
Nel suo libro più famoso e geniale:”Sulla spiaggia e di là dal molo”, Tobino mostra che la sinergia idee-vino si disloca impeccabilmente nei fatti non solo nelle teorie.
Egli narra la storia, “autre” e popolare di una Viareggio “rivoluzionaria” e di quanto accadde il 16 maggio 1921. Ma facciamo un passo indietro: il 15 maggio sempre del 1921, si tennero in tutta Italia le elezioni politiche; a Viareggio la giornata si svolse in un clima di maturità democratica e i risultati decretarono l’affermazione delle sinistre. Il giorno dopo, per festeggiare il successo elettorale, fu organizzato un corteo che sfilò per le vie cittadine. Poco dopo le ore 17, dal corteo che stava percorrendo via Garibaldi, si staccò un gruppo di dimostranti capeggiati da tale Alessandro Bandoni che si portò davanti alla sede del fascio, indirizzando frasi di scherno all’indirizzo dei fascisti. Lo scontro si concluse col nulla di fatto ma la tensione rimase.sembra molto alta
Una anno prima Il 2 maggio 1920, fu la gara che dette l’avvio a un’avventura esaltante. Nel 1920 non si giocava per denaro, le ombrelle dei pini dondolavano intorno al campo di gioco un profumo di spiaggia e di resina si spandeva tra gli spettatori, su un lato si alzava una tribuna messa su in fretta, un trabiccolo in gracile equilibrio. I legni appena piallati.
La squadra era composta elusivamente da viareggini, i giocatori di ogni provenienza sociale. Il portiere Guidi, era figlio di un armatore. L’ala destra Rossino possedeva delle cave di rena, Pippo il Veronesi era impiegato. c’erano calafati degli studenti, dei bagnini.
La destrezza che impone il mare a chi fin da bambino lo frequenta, la squadra del Viareggio aveva una sua spavalderia, i popolani ne seguivano ogni vicenda come di una persona cara. La partita più attesa, che esaltava, era contro la Lucchese. Come sempre: pur di vincere quella. Si perdessero pure tutte le altre.
Giusto un secolo avanti Maria Luisa di Borbone costruendo la prima darsena, aveva dato luce a Viareggio. Con geniale benevolenza aveva inoltre decretato che chiunque avesse voluto alzare su quell’area delle abitazioni, il terreno sarebbe stato gratis. I nobili taccagni lucchesi accolsero l’invito della loro sovrana, costruirono ville,che in quaresima si aprivano e si folleggiava al gioco del trictrac. Naturalmente i nobili lucchesi trattavano i viareggini come servitori; parecchi infatti facevano i custodi, adempivano umili servizi.
Se non che in un giro incredibilmente rapido di anni i viareggini diventano marinai. Non solo navigano ma loro stessi costruivano i bastimenti. Altre vicende si rincorrono. Maria Luisa muore, il figlio vende il Ducato ai fiorentini. C’è l’unità d’Italia. La Storia ha ali veloci.
Lucca non è più uno stato è una delle province d’Italia, lo sbocco al mare non le interessa più, il porto di Livorno supplisce ogni bisogno. Già sono lontani i tempi quando Maria Luisa favoriva in tutto Viareggio, era la sua pupilla, con grazia infantile se la cullava, sua marina, il suo porto, sua flotta.
I Viareggini non pescano più, navigano, hanno lasciato la pesca a una colonia meridionale San Benedetto del Tronto che vive appartata. Viareggio è un intrecciarsi di arrivi e partenze: in ogni casa in ogni taverna si descrivono viaggi, tempeste, bonacce, si sanno misurare le qualità dei bastimenti e di chi li governa; si raccontano meravigliose città. I viareggini hanno preso certezza di se stessi e del mondo.
I nobili lucchesi hanno ancora le loro ville; alla bella stagione scendono al mare, sono sempre garbati, con quel sorriso insieme scettico e astuto, ma hanno le vipore in tasca, mentre già sono avvolti dalla dorata malinconia della decadenza.
Si è insinuata un altra abitudine. I bagni sono alla moda, i medici li consigliano. I borghesi, i borghesucci, i villani rifatti, da Lucca si azzardano ad arrivare al mare. Quanta differenza coi nobili di Maria Luisa! Questi qui sono parsimoniosi (leggi vipore in tasca) oculati, prudenti, diffidenti,alcuni avari veri e propri. Molti usano lesinare con una luce di piacere selvaggio. I viareggini, molto più poveri, si vergognerebbero a comportarsi così.
Le famiglie dei marinai hanno una casupola. Il capo casa è un navigante che guadagna una pisciata, a stento sfama tutte le bocche.
La famiglia marinara si ritira nella “stanzetta” in fondo all’orto, si pigia in una sola stanza, in silenzio per non disturbare i bagnanti. Dal fondo dell’orto assistono alla loro taccagneria. Anche carbone per accendere il fornello si sono portati! Tutto,olio, vino, farina, sale,pepe. Al di fuori dell’affitto non avranno altra spesa, Inconcepibile una vacanza legata alla meschineria, con il contare ogni piccola moneta Eppure i lucchesi sono ricchi. Nascono paragoni con i marinai che sfidano la morte guadagnando una segata.
Le tensioni,i mugugni i dissapori che avevano caratterizzato la vigilia dell’incontro non si attenuarono, con il fischio d’inizio della partita e i numerosi spettatori quasi tutti sostenitori della formazione locale,anzi, grazie a quella partita visse le celebri “giornate rosse” ove Viareggio ebbe il privilegio di vivere una rivoluzione impossibile. Dal 2 al 4 maggio, un’avventura drammatica ed esaltante, Dal 2 al 4 maggio, per tre giorni Viareggio ,estromessa ogni forma d’autorità, fu isolata dal resto del territorio, mentre nel palazzo del municipio sventolava il vessillo rosso e nero dell’anarchia, improvvisate “guardie rosse” si opponevano, dietro precarie barricate, allo stato che, mobilitati esercito e marina,cingeva d’assedio la città, facendo sfoggio di forza, ma anche dimostrando incertezze decisionali ed incapacità di azione
Il primo tempo finì 2-0 per il Viareggio, gli spettatori locali si permettevano dei sarcasmi ritornati in auge chissà come:” Qui non c’è il Volto Santo. Non si prestano quattrini a strozzo”.: Quella partita tanto attesa si stava tramutando in un trionfo per i viareggini.
Il primo tempo finì sul punteggio di due a zero
L’arbitro fischiò la ripresa. I lucchesi avveduti , attenti, tesi affratellati tutti si accorsero che non erano affatto battuti, né abbattuti per i due gol di scarto. Di continuo erano sotto la porta viareggina, davanti alla quale al diciottesimo minatosi creò un annaspio di gambe che invano il portiere tentava di seguire piegandosi. D’un tratto la palla balzellò verso l’angolo della porta e fu dentro.
Ci fu un “Oh” di sorpresa da non credere ai propri occhi i lucchesi si erano avvicinati.
La partita si fece serrata, i viareggini sgomenti di perdere la vittoria si rinserravano in difesa e si fecero pesantucci, all’arte pedatoria sostituirono l’aggressione spesso rude, non andavano troppo per il sottile, i lucchesi con calma e caparbietà rinnovavano gli attacchi, in un intesa che era segno di una squadra affiatata e vecchia di tante battaglie.
La partita si avvicinava alla fine, mancavano si e no dieci minuti, gli spettatori viareggini consultavano gli orologi. La squadra lucchese continuava a tesser trame di gioco,puntava con ordine e velocità alla porta avversaria, i viareggini convulsi e inconcludenti.
L’arbitro era di Lucca, cittadino di quella città. A quel tempo le squadre fra loro sorteggiavano l’arbitro, si gettava in aria una monetina,che ’sta volta aveva indicato il lucchese. L’arbitro cercava di comportarsi con giustizia, tentava che la partita non degenerasse. Dalla tribuna e dai popolari arrivavano gli insulti dei viareggini.
Ancora una volta gli attaccanti lucchesi ordinarono un’azione. Il centrattacco passò la palla alla mezz’ala che corse dritta come un fuso davanti a sé. La difesa del Viareggio l’affrontò. La mezz’ala ripassò la palla al centrattacco, un passaggio perfetto che gli depositò la palla davanti ai piedi.
Il centrattacco era libero limite dell’area di rigore, davanti il solo portiere. La difesa del Viareggio gli corse dietro; si accorse che solo sgambettandolo poteva impedirgli il tiro in porta Il centrattacco rotolò per terra.
L’arbitro era troppo vicino,non poteva non aver visto.Decretò il calcio di punizione. Era semplice giustizia.
I viareggini gli urlarono di tutto, urlarono al sopruso,alla frode , all’infamia. Infine era solo un calcio di punizione, non di rigore.
La palla fu messa nel punto dov’era avvenuto il fallo (Ma la sua signora urlava: non ho visto il fallo di mio marito), L’arbitro contò i passi che dovevano essere lasciati liberi davanti a chi batteva la punizione, solita manfrina di chi cerca d’ingannare i puniti., e si mise da parte in procinto di fischiare
Le voci calarono all’improvviso e si estinsero, come fosse una questione di vita e di morte, l’aria celeste contornata dalle ombrelle dei pini venne perforata dal fischio dell’arbitro. Un calciatore della lucchese fece delle finte come se stesse calciando lui la punizione, invece tergiversò fece la finta, toccò appena il pallone per il compagno che libero tirò una staffilata…e il pallone s’insaccò.Il patatrac era fatto, la parità raggiunta; match nullo.
Un altro goal della lucchese non è possibile. Era l’arbitro un lucchese che voleva umiliare nuovamente i viareggini trattandoli da sudditi.
A pochi secondi dalla fine il Morganti, il segnalinee viareggino, segnalò un fallo commesso da un giocatore della Lucchese, tale Bonino,che per tutta risposta offese malamente il guardialinee. Discussioni a non finire mentre l’arbitro decretò la fine delle ostilità.
Questa decisione non piacque al Moranti che protesto energicamente con il direttore di gara. Mentre tra i due riaccendeva un diverbio e i giocatori in campo si prendevano, naturalmente, a cazzotti.
Lo spettacolo che si consumava in campo infiammò gli animi del numeroso pubblico dando origine ad una colossale rissa cui non bastavano i cazzotti ma apparvero anche ticci e legni. A un certo momento in un diverbio forse più diverbio di tanti altri, l’appuntato dei carabinieri, Berti, al comando di tre commilitoni si avvicinò ad un gruppo: ”Suvvia signori scoglitevi, allontanatevi ognuno vada per conto suo”.
L’appuntato aveva in mano una pistola e ripetè :”Ho detto via.”Fu il più giovane Morganti che rispose, una risposta che gli costò la buccia. La pistola, non si sa come sparò, in questi casi appurare la verità è difficile come volare; le verità ‘un la vorse nissuni, dicono a Pisa, e mori fanciulla.
Gli avvenimenti che seguirono si svolsero a ritmo frenetico, sull’onda dell’eccitazione ma anche della rabbia. La notizia della brutale uccisione di Augusto Moranti corse di bocca e di lì a poco una moltitudine di persone uomini e donne prese d’assalto la caserma dei carabinieri reclamando la consegna di chi aveva fatto fuoco Ma l’insano tentativo di giustizia sommaria fu sventato dalla reazione energica dei carabinieri che esasperò ulteriormente gli animi dei tumultuanti che si posero alla ricerca di armi.
Fu fatta una riunione alla Camera del Lavoro. Si costitui un comitato che si sarebbe insediato in Municipio, dopo aver scacciato l’allora commissario prefettizio, tale Gino Sartori, ma non è colpa del sottoscritto
Facciamo la rivoluzione
Facciamo come in russia la repubblica dei soviet
E qui alla camera del lavoro rimane in permanenza una giunta esecutiva. Abbiamo bisogno d’idee fece un tipo e un’altro : le idee hanno sete!
Vennero istituite immediatamente le “guardie rosse” le quali col fucile a la fascia a braccio ebbero il compito di requisire tutto il vino che si trovava a Viereggio perché le idee hanno sete e al comitato rivoluzionario devono pensare
La cronaca di quei giorni di fuoco, desunta dalla sete insaziabile, anche d’idee nonchè dai brindisi del grande Mario Tobino ,nonché le idee che hanno sempre, da Tobino a Ernest Hemingway, molta sete, magari citando un jazzman “umile”il tenorsax Steve Pott un non imfame sideman nei gruppi del compiantissimo Steve Lacy il quale rispose ad una mia precisa richiesta circa la musica ed il vino,rispose:”Music and wine the best composition”.
Ma l’esordio “ufficioso” di “Cantina jazz”doveva avere un involucro suntuoso e pressoché leggendario: la settima edizione ,Estate 2002, di “Time in jazz” a Berchidda, patria di Paolo Fresu. A Berchidda funziona, e pare pure bene, un museo del vino. Paolo Fresu in qualità di direttore, conoscendo le predilezioni di Afo Sartori circa i vini,e il jazz lo invitò a tenere una conversazione sull’argomento al museo. Ma quell’anno Afo stava curando per i tipi di Feleci editore, la prima edizione di “Gente di Pisa” e dovette dare gioco forza forfait. Fu impeccabilmente sostituito da Roberto Marangoni,il quale ottenne, da par suo, un successo personale che a Berchidda ricordano ancora.
Senza contare che se il jazz fosse nato Gaiole in Chianti e non a New Orleans… potremmo raccontarne di quelle davvero inaudite…