Nato il 10 Aprile 1979 a Marsico Nuovo (PZ), vive a Pisa, dove, tra un corso di Ingegneria Chimica e un caffè al bar della stazione, scrive versi e poesie che attirano l’attenzione di molti internauti. “Dice F.Djan, il più americano tra gli scrittori francesi, che la vita di uno scrittore non è interessante, lo è il corpo a corpo con la scrittura. E io condivido.” (M.C.A.)
In CantinaJazz svolge il prezioso ruolo di traghettatore del pubblico da un atto dello show al successivo. Le sue opere sono divulgate tramite il sito:
www.michelecristianoaulicino.com
Molti anni fa, molti per me che vi scrivo dall’altezza dei trentasei, incontrai Lino Patruno e la sua band, a cena, a casa mia, alla fine di una manifestazione musicale che i miei genitori ed un drappello di amici, tennero in piedi, non senza difficoltà, per una decina di anni buoni.
Dicevo, eravamo a cena, si parlava del più e del meno, avevo vent’anni.
Si parlava più che altro di musica, di jazz, delle origini, e nel mentre si svuotavano bottiglie di Aglianico. Aglianico del Vulture, il vino che per certi versi, mi ha dato i Natali ma anche le Pasque ed i Capodanni sosterrebbe qualche bonario detrattore, tante soddisfazioni ed altrettante ebbre dimenticanze.
Tra me, il vino, e la musica, negli anni, si è consolidato un certo “dualismo allargato”, non troppo dissimile da quello “onda-particella”.
All’epoca non potevo immaginare che a distanza di una quindicina di anni, mi sarei ritrovato a scrivere di vino e di jazz.
Lino mi spiegava in maniera colorita, il come, certi suoni, negli anni, si sarebbero affinati e proprio come certi vini, sarebbero diventati, a seconda, gentili e accoglienti oppure acidi e spigolosi.
Non ricordo moltissimo di quella serata…
Eravamo tutti un poco alticci, ma capii benissimo che il risultato, il succo, per usare un termine appropriato, andava al di là delle maniere, delle tecniche e dello stesso presente. Consisteva nel fatto che il vino e la musica ci avevano fatti incontrare, tutti quanti, ognuno con la sua storia da raccontare, come succedeva ormai da millenni. Ecco la magia, la Magna Grecia che faceva l’amore con l’America. Un’orgia di sentimenti. L’ umanità.
La stessa esperienza, forse ancora più mistica, la ripetei con un violinista russo, Vladimit Tsypin e sua moglie Luba. Sempre alla conclusione della solita manifestazione.
Cominciammo a palare di musica, di come non riuscivo ad apprezzare la musica classica, ché il Rock, ai tempi, mi pareva una forma più completa, più immediata.
Dopo l’ennesima bottiglia di Aglianico, Vladimir prese il violino e cominciò a suonare i Deep Purple, O’ sole mio, Malafemmena, e Take Five di D. B. su mia richiesta…
Ancora una volta la commistione tra musica e vino aveva abbattuto ogni sorta di barriera in poco più di qualche ora. Parlavamo la stessa lingua. Luba lesse in inglese alcune sue poesie ed io non capii niente, ma è come se avessi colto il senso di ogni sillaba. La voce che immersa nel vino, si faceva suono ancestrale di uomo che parla agli uomini. Così come mi sarebbe accaduto anni dopo con il suono della tromba di Chet Baker.
Adesso che ho la fortuna e l’onore di incontrare spesso musicisti eccellenti e vini magnifici, intuisco ancora una volta che il fine ultimo di questi incontri non è altro che la perpetuazione di quel rito ancestrale e contagioso chiamato “bagno di umanità”.